martedì 3 gennaio 2017

Dove investire nel 2017

Il rally di Piazza Affari di fine 2016 potrebbe dare avvio a una fase di recupero più ampia per la borsa italiana. Che dopo un anno di vacche magre ha tutte le carte in regola per tornare a crescere, soprattutto ora che i problemi del sistema bancario sono stati affrontati. Come emerge dal sondaggio sulle previsioni dei mercati per il 2017 condotto da MF-Milano Finanza su 47 gestori e analisti italiani ed esteri. Per il 67% degli intervistati l’indice Ftse Mib di Piazza Affari potrà segnare un rialzo nei prossimi 12 mesi fino al 10% (per il 48% salirà tra il 5 e il 10%, per il 19% fino al 5%) e per il 21% potrà salire oltre il 10%. Soltanto il 5% ritiene invece che potrà perdere fino al 10%. «Il mercato azionario italiano potrà sorprendere positivamente nel 2017 grazie alle valutazioni estremamente compresse raggiunte dal listino e in particolare dai titoli finanziari, insieme alle buone prospettive di altre realtà molto interessanti tra le small e medium cap italiane che si avvantaggeranno dalla ripresa economica Usa e dal basso livello ormai raggiunto dall’euro», dice Maurizio Vitolo, amministratore delegato di Consultinvest.


E tra i settori del listino italiano, in cima alle preferenze dei gestori per il 2017 c’è proprio il comparto finanziario con Intesa Sanpaolo, Unicredit e Generali che risultano le azioni più votate dal panel. Prospettive favorevoli anche per lo spread: soltanto il 21% lo vede in aumento rispetto ai livelli attuali di 160 punti base. «L’obiettivo di quota 100 è molto ambizioso Riteniamo ragionevole che possa arrivare sui 120-130 punti base», osserva Marco Piersimoni, senior portfolio manager di Pictet Am. Allargando lo sguardo agli altri listini, le previsioni sulla borsa italiana vanno di pari passo con il sentiment favorevole per le borse europee. Nonostante le incognite relative alle elezioni in tre importanti Stati nel 2017 (Germania, Francia e Olanda), il 71% dei money manager prevede un rialzo per l’indice Eurostoxx fino al 10% (per il 54% potrà segnare un incremento compreso tra il 5 e il 10% e per il 17% fino al 5%) e il 20% indica un incremento superiore al 10%. «Riteniamo che l’Europa possa superare l’incertezza politica e possa recuperare il gap del 2016 con l’azionario americano», afferma Marco Aboav, head of asset allocation di Moneyfarm.

Proprio su Wall Street trapela prudenza anche perché la borsa americana viaggia sui massimi storici. Per il 36% l’S&P metterà a segno un incremento fino al 5%, mentre soltanto il 10% ritiene che possa salire più del 10%. E c’è anche un altro 10% che ritiene che possa correggere del 10%. Il maggior ottimismo per le borse europee è guidato dall’azione della Bce che, nonostante abbia annunciato una riduzione dell’importo di titoli acquistabili nell’ambito del Qe, ha deciso di estendere il piano di acquisti in scadenza a marzo 2017 di altri sei mesi. E per il 28% degli intervistati la Bce annuncerà un’ulteriore proroga del Qe al 2018. Mentre sugli Usa pende la spada di Damocle dei rialzi dei tassi, dopo che la Fed ha annunciato che sarà più aggressiva nel 2017. Queste politiche avranno anche impatti sulle valute. La metà del panel si aspetta infatti che l’euro scenderà ancora sul dollaro e molti indicano come target la parità. «Tassi più elevati e un’economia in surriscaldamento sono favorevoli al dollaro», afferma Andrea Rotti, direttore investimenti gestioni patrimoniali di Ersel. Ciò favorirà le imprese europee esportatrici. Ed «è possibile che in caso di estensione dei problemi di instabilità dell’area euro molti capitali potrebbero scegliere di proteggersi con il dollaro americano che, in virtù delle aspettative razionali che si creeranno tra gli investitori circa il ritmo del potenziale ciclo di rialzi nel 2017, potrebbe vivere momenti di rafforzamento. Allo stato dell’arte attuale, tuttavia, crediamo che la parità euro-dollaro si possa superare soltanto in caso di gravi problemi dei Paesi periferici dell’area euro. E questa partita probabilmente la giocherà anche la Francia, con rischio di effetto contagio a tutta l’area», aggiunge Matteo Paganini, chief analyst di Fxcm. Ma «in caso di aspettative sul ritmo di rialzo tassi, prima create e poi disattese dalla Fed nel corso dell’anno, sono possibili rimbalzi fino ad area 1,18», avverte Paganini.

Alla domanda su quale è la borsa su cui puntare nel 2017 in cima alle preferenze è risultata quindi l’Europa (70%), seguita dal Giappone (40%), Usa (37%), Asia (18%) e Cina (7%). Proprio su Tokyo sono riposte le speranze di un recupero dopo che il Nikkei ha chiuso l’anno sugli stessi livelli di inizio 2016. Per l’85% il mercato azionario del Sol Levante riprenderà a salire nel 2017. Restando sui mercati asiatici, è l’India la grande favorita: ben il 58% dei money manager destinerebbe a quest’area una quota del proprio portafoglio azionario globale. Al secondo posto la Cina con il 42% delle preferenze. La borsa cinese, che aveva iniziato il 2016 con una forte correzione, ha poi ripreso a salire e ora il 50% degli intervistati ritiene che il recupero proseguirà nel corso del 2017. «Shanghai risulta sotto del 40% dai massimi e potrebbe proseguire un graduale recupero nel 2017», afferma Roberto Roversi, analista di Tendercapital. C’è comunque una fetta rilevante (40%) che è più cauta e prevede una fase di stallo per l’azionario cinese. Tra i rischi da tenere d’occhio, il principale (67%) è quello politico dato che il calendario del 2017 è ricco di importanti scadenze elettorali (Germania, Francia e Olanda) ed è ancora molto vicino il ricordo del referendum di giugno sulla Brexit il cui esito inatteso aveva colto i mercati di sorpresa. Sul fronte delle altre incognite, l’impatto sull’economia globale dell’aumento dei tassi Usa preoccupa il 53% dei gestori, mentre fanno meno paura ulteriori tensioni geopolitiche (14%) e nuove crisi nei Paesi emergenti (11%). Il prezzo del petrolio, che all’inizio del 2016 ha continuato a scendere mettendo in agitazione i mercati per poi tornare a salire anche sulla scia degli accordi tra i produttori, è visto in leggera crescita. Per il 62% del panel le quotazioni del greggio aumenteranno ancora e il livello previsto dalla maggior parte degli operatori è tra 60 e 65 dollari al barile. C’è anche un terzo circa (36%) secondo cui resterà ai livelli attuali e quasi nessuno (2%) è convinto che scenderà.

Per quanto riguarda l’obbligazionario, la prudenza è d’obbligo. «Anche in un portafoglio tradizionalmente considerato difensivo, preferiamo destinare una quota maggiore all’investimento in azioni rispetto a quello in bond», avverte Thomas Friedberger, gestore di Tikehau Capital. L’obbligazionario sarà «tra le asset class più difficili da gestire», conferma Massimo Gionso, consigliere delegato di Cfo sim, «da qui in avanti sarà sempre più difficile conseguire guadagni sul corso dei prezzi, ma ci si dovrà accontentare del flusso cedolare. In sostanza si compreranno bond con l’obbiettivo di portarli a scadenza o di prendere il flusso cedolare per il periodo in cui rimarranno in portafoglio». E le scelte di portafoglio sono legate soprattutto ai tassi Usa. «La vittoria di Donald Trump ha contribuito ad alimentare la speranza che sia data maggior enfasi per la crescita alle politiche fiscali espansive rispetto alle politiche monetarie. A tali speranze, si associa anche un progressivo ritorno di inflazione con relativi rischi di rialzo dei tassi», spiega Alberto Biolzi, responsabile direzione wealth management di Cassa Lombarda. A questo proposito Ingo Werner, gestore di Fia Am consiglia di «seguire l’andamento dei metalli preziosi di fronte ad un eventuale intensificarsi di spirale inflazionistica negli Usa». A livello operativo «abbiamo inserito nella componente obbligazionaria titoli a tasso variabile in dollari, evitando il tasso fisso», spiega Massimo De Palma responsabile asset management di Gam Italia. Gli fa eco Massimiliano Maxia, fixed income product specialist di Allianz Global Investor: «Preferiamo soluzioni con duration corte, poiché il rialzo dei rendimenti iniziato tra luglio e agosto potrebbe tendenzialmente continuare». Maxia sottolinea che «la ricerca del rendimento continuerà ad essere uno dei temi più importanti dei mercati finanziari, perché anche se la Fed proseguirà ad alzare i tassi, i rendimenti delle diverse asset class rimarranno generalmente bassi. Quindi è necessario allocare parte degli investimenti a settori quali le obbligazioni corporate sia investment grade che high yield, ma bisogna però essere più selettivi rispetto al passato diversificando tra settori e regioni e da questo punto di vista l’Europa per il settore corporate è un mercato che ci piace ancora, vista l’azione della Bce». Sulla stessa lunghezza d’onda Kurt Schappelwein, head of Multi Asset Strategies di Raiffeisen Capital Management: «Al momento una più ampia diversificazione di portafoglio a livello di reddito fisso è essenziale». Con un’avvertenza : «Indubbiamente le politiche inflazionistiche e pro-crescita americane e potenzialmente un clima più rilassato per quanto concerne la stretta fiscale in Europa parlano a favore di maggiore crescita. Tuttavia, i mercati di oggi non hanno voglia di ascoltare segnali importanti quali la polarizzazione economica, il malcontento in Europa e le leve finanziarie in Asia, nonché vari rischi geopolitici tra i quali le prossime elezioni in Germania e Francia», dice Loris Centola, responsabile della ricerca di Credit Suisse.

Arriva una nota di ottimismo da Ubp: «Con il 2017 si potrà finalmente segnare la fine di un decennio dominato dalla crisi economica e dalle sue conseguenze. Le prospettive sembrano migliorare e riteniamo che la crescita possa aumentare, raggiungendo il 3,5%. Tale ripresa sarà probabilmente trainata da un’attività più vivace sui mercati emergenti e da uno slancio della crescita negli Stati Uniti». La domanda principale del 2017 riguarderà quindi «se i rischi politici saranno in grado di rallentare l’economia», afferma Andrew Harmstone, managing director di Morgan Stanley Investment Management. Secondo la casa di gestione Usa le prospettive per il 2017 sono positive nel breve termine. «I seguenti motivi hanno dato agli investitori buoni motivi per essere positivi sui mercati: una fiorente economia statunitense, la stabilità della Cina e i benefici ottenuti un basso prezzo del petrolio per la spesa dei beni voluttuari. Nel lungo periodo, in particolare nel 2017 inoltrato e oltre, siamo focalizzati sul monitoraggio dei fattori che potrebbero far deragliare l’economia », conclude Harmstone.


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